L’Altro: dalla musica a Sartre e Magritte

Non è un caso se Niccolò Fabi propone un’immagine di sé sempre più sfocata nel video della canzone “Io sono l’altro”. Un altro che dapprima è “diverso”, che spaventa e che si sente lontano da sé, alla fine diventa sempre più vicino. Di conseguenza, il confine con sé diventa sempre più labile. Con “Io sono l’altro”, ci dimostra come può essere saggio talvolta fermarsi ad osservare, senza giudicare, perché “Quelli che vedi sono solo i miei vestiti, adesso vacci a fare un giro e poi mi dici”.
Esiste un’espressione in Lak’ech’ che nella cultura Maya non è solo un saluto ma una visione della vita. Può essere tradotta come “io sono un altro te” o “tu sei un altro me”. Che si parta dalla filosofia o dalla fisica quantistica si arriva sempre alla conclusione che l’altro è imprescindibile nella nostra vita. Conoscere e praticare i punti di vista degli altri è una grammatica esistenziale, come riuscire ad indossare i loro “vestiti”, senza prima giudicarli.
J.P. Sartre scrive in “L’essere e il nulla”:
Immaginiamo che, per gelosia, per interesse, per vizio, mi sia messo ad origliare ad una porta, a guardare dal buco di una serratura. […] E quindi «faccio quel che ho da fare»; nessuna visione trascendente viene a conferire ai miei atti un carattere di dato sul quale possa esercitare un giudizio: la mia coscienza aderisce ai miei atti, è i miei atti.
Parafrasando Sartre, con tale affermazione vuole dire che se io guardo dal buco della serratura, per gelosia, interesse o vizio, e nessuno mi vede, la mia azione non sarà giudicata da altri e io mi sentirò libero di agire in tal modo.
Ma, Sartre continua così:
[…] Sono la vergogna o la fierezza che mi rivelano lo sguardo altrui e me stesso al limite dello sguardo; che mi fanno vivere, non conoscere, la situazione di guardato.
Nel momento in cui mi rendo conto di essere osservato, mentre guardo nel buco della serratura, allora sentirò la vergogna o la fierezza. Tali sentimenti saranno determinati da come lo sgurado altrui peserà su di me. La vergogna:
[…] è vergogna di sé, è riconoscimento del fatto che sono, per l’appunto, l’oggetto che altri guarda e giudica.
Sartre arrivò così alla conclusione che “io sono quel me che un altro conosce” e mi sento trasformato in un oggetto inerme e nudo davanti all’altro. Ma nello stesso momento in cui io sono oggetto dell’altro; l’altro è oggetto di me, così io riaffermo la mia libertà soggettiva.Con lo sguardo, l’altro aliena le mie possibilità, non sono più padrone della situazione: affiorano in me le emozioni del timore, del pudore, della vergogna, dell’orgoglio. I rapporti tra l’io e l’altro, sono conflittuali per questo Sartre ironicamente affermò che:
[…] l’inferno sono gli altri.
Perché attraverso il confronto con gli altri posso conoscere me stesso. Gli altri sono oggetti che è possibile utilizzare ma a differenza di un oggetto l’altro, come me, ha una coscienza e quindi è essere per sé e, come me, utilizza me per realizzare i propri progetti.
Sartre ricollegandosi al tema biblico paragona la vergogna al sentimento del peccato originale: come Adamo ed Eva si accorgono di essere nudi e di aver peccato quando sono davanti a Dio così succede all’uomo quando è sorpreso dallo sguardo dell’altro accorgendosi di essere oggetto per gli altri che prevaricano, ma nel momento in cui io guardo l’altro la situazione si ribalta perché ora il soggetto guarda l’altro e lo oggettivizza in questo modo riacquista la soggettività. Per questo motivo arriva a dire che “l’inferno sono gli altri” ma ciò non è la volontà di negare ogni rapporto sociale bensì sottolinea l’importanza dell’altro per me perché grazie al confrono-scontro con l’altro io posso conoscere me stesso.
Magritte nel suo dipinto “Gli amanti” (1928) raffigura due amanti che si baciano, con le teste coperte da un panno bianco che impedisce loro di vedersi e comunicare, suscitando una certa inquietudine e angoscia. La scena è poi completata da uno sfondo fortemente contrastato di tonalità blu e dalla cornice classicheggiante che riveste la rossa parete, riportando agli occhi i tempi antichi.
Un altro senza volto, che assumerebbe forma solo se osservato dall’altro? Questa potrebbe essere una delle molte interpretazioni che si potrebbero dare a questo dipinto.
Bibliografia
Sartre, J.P. (2014). L’Essere e il Nulla. Milano: Il Saggiatore.